Migranti in Albania, la Corte di Giustizia Ue smentisce il governo Meloni: “Sui Paesi sicuri valutano i giudici”

Un Paese si può considerare sicuro se lo è per tutta la sua popolazione, i giudici hanno il dovere di verificare i casi singoli. Così la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sul ricorso presentato dal Tribunale di Roma contro la procedura di frontiera nei Cpr in Albania allestiti dall’esecutivo di Giorgia Meloni in seguito al patto col governo di Tirana di Edi Rama.
La sentenza, attesa per chiarire i contorni legali dell’operazione fortemente voluta da Palazzo Chigi, con costi esplosi ad almeno 800 milioni di euro e uno scontro totale con i giudici italiani che in più occasioni hanno bloccato le procedure di rimpatrio dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti in Albania perché provenienti da Paesi ritenuti sicuri da Roma, è uno schiaffo alle politiche della destra al governo.
I giudici della CGUE, con sede in Lussemburgo, di fatto allontanano sempre di più l’utilizzo dei centri realizzati in Albania: un progetto inizialmente ideato per ospitare i richiedenti asilo soccorsi in mare, poi trasformati in carissimi Centri di permanenza per il rimpatrio.
Per i giudici “la designazione di Paesi terzi come Paesi di origine sicuri deve essere suscettibile di una revisione efficace da parte del giudice”. Ma le notizie negative per Meloni e soci non si fermano qui.
Per la Corte “uno Stato membro non può includere nell’elenco dei Paesi di origine sicuri” un Paese che “non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione“. Come riconoscere un Paese sicuro? Per i giudici della CGUE la designazione può essere effettuata mediante un atto legislativo, a condizione che quest’ultimo possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo vertente sul rispetto dei criteri sostanziali stabilite dal diritto dell’Unione europea. Per Roma, ad esempio, sono da considerare “Paesi sicuri” Egitto e Bangladesh, dove invece i giudici del tribunale di Roma hanno negato i rimpatri.
La Corte precisa che questa condizione è valida fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue, “che consente di effettuare designazioni con eccezioni per alcune categorie chiaramente identificabili di persone”, atteso il 12 giugno 2026. Tuttavia, “il legislatore Ue può anticipare la data”. Fra le altre cose il nuovo regolamento europeo ridefinisce il concetto di “Paese sicuro”: verrà per esempio eliminata la necessità che un Paese sia considerabile tale in tutte le sue regioni e per tutte le categorie di persone, il contrario di quanto espresso oggi dai giudici della Corte del Lussemburgo.
La sentenza arrivata oggi dal Lussemburgo è un colpo durissimo al progetto meloniano sui migranti. Dall’opposizione Nicola Fratoianni, di Alleanza Verdi-Sinistra, parla di “macigno sulle velleità del governo Meloni e della destra italiana di calpestare il diritto internazionale e il buonsenso. Erano pure arrivati a dire nelle aule parlamentari che i giudici che rispettavano la legge fossero degli eversori. Non era e non è affatto così”. Per Riccardo Magi, segretario di +Europa, la sentenza della Corte di Giustizia Ue “è la Caporetto di Giorgia Meloni e dovrebbe mettere fine al progetto di una Guantanamo italiana per la deportazione di migranti”.
Non si è fatta attendere anche la reazione, durissima, di Palazzo Chigi. “Sorprende la decisione della Corte di Giustizia Ue in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali. Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche“, si legge in una nota di Chigi condivisa dalla stessa premier Giorgia Meloni sui suoi social.
“La Corte di Giustizia Ue – continua il governo – decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari. Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano”.
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